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Contratto a tutele crescenti E' LEGGE

  • Pubblicato il:  9 marzo 2015
  • Categoria:   Circolari

Il Governo ha pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6 marzo 2015, il Decreto Legislativo n. 23 del 4.3.2015 con le disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti di cui alleghiamo alla presente il testo definitivo.

Tale norma è in vigore dal 7 marzo 2015.

È bene precisare che il contratto a tutele crescenti non è una nuova tipologia contrattuale “speciale” né una forma facoltativa di rapporto di lavoro. Esso diventerà, invece, la normale modalità di assunzione a tempo indeterminato per tutti i lavoratori, ad eccezione dei dirigenti, assunti dopo l’entrata in vigore del decreto 20 febbraio 2015.

Il decreto sul contratto a tutele crescenti contiene, quindi, la nuova disciplina delle tutele in caso di licenziamento, la quale andrà gradualmente a sostituire quella oggi prevista dall’art. 18 St. Lav., come modificato da ultimo dalla legge Fornero (l. 92/2012). La “vecchia” disciplina dei licenziamenti - risultante dalla sommatoria della riforma Fornero e delle norme previgenti ad essa - resterà in vigore e continuerà ad essere applicata ai dirigenti e ai dipendenti assunti prima dell’entrata in vigore del decreto.

Vediamo cosa cambia in sostanza (in rosso abbiamo evidenziato le modifiche rispetto al testo precedente):

1) ambito applicazione nuova legge: lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, e ai dipendenti di partiti e sindacati, esclusi in precedenza dalle tutele dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. La nuova normativa si applica anche ai casi di conversione dei contratti a termine o di apprendistato nonché ai datori di lavoro che successivamente all’entrata in vigore integrino i requisiti dimensionali di cui all’art. 18 SL ottavo e nono comma;

2) tutela nei casi di licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale (articolo 2 del decreto): il giudice ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore e il pagamento di un’indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative durante il periodo di estromissione. L’indennizzo non può essere inferiore a 5 mensilità della ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Tuttavia, se il dipendente entro 30 giorni dall’invito del datore di lavoro, non riprende l’attività lavorativa , il rapporto si intende definitivamente risolto. Spetta inoltre al datore di lavoro il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Le stesse disposizioni si applicano ai licenziamenti collettivi (articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223) intimati senza l’osservanza della forma scritta. Fatta salva possibilità per il lavoratore, oltre al risarcimento del danno, di chiedere l’indennità sostitutiva della reintegra. Le stesse conseguenze si applicano anche nelle ipotesi in cui il Giudice accerta il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore;

3) tutela nei casi di licenziamento per giustificato motivo e giusta causa (articolo 3 del decreto): se viene accertata la mancanza dei presupposti, il giudice decreta l’estinzione del rapporto di lavoro alla data di licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio che deve essere compresa tra 4 e 24 mensilità. Ciò vale anche per i licenziamenti collettivi intimati in violazione delle procedure richiamate all’articolo 4, comma 12 o dei criteri di scelta di cui all’articolo 5, comma 1, della Legge n. 233 del 1991;

4) tutela specifica nel caso di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa (art. 3 comma 2 del decreto): se viene dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale addebitato al lavoratore, il giudice annulla il licenziamento ordinando il reintegro del lavoratore oltre che il pagamento di un’indennità a titolo di risarcimento, commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quella dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito dal lavoratore per lo svolgimento di altre attività lavorative e maggiorata di quanto lo stesso avrebbe potuto percepire se avesse accettato una congrua offerta di lavoro. Ad ogni modo, l’indennità non può essere superiore a 12 mensilità della ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Il datore di lavoro è obbligato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione. Anche in questo caso, il dipendente può chiedere, in alternativa al reintegro, l’indennità di cui sopra (articolo 2, comma 3 del decreto);

5) tutela in caso di licenziamento intimato in violazione del requisito di motivazione ex articolo 2, comma 2, Legge n. 604/1966 e articolo 7 Legge n. 300/1970 (art. 4 del decreto): il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio che non può essere inferiore a 2 mensilità e non superiore a 12, salvo una diversa previsione del giudice, il quale ha facoltà di prevedere l’applicazione delle tutele di cui agli articoli 2 e 3 del decreto (ndr: quelle di cui ai punti 2, 3 e 4 che precedono);

6) revoca del recesso (art. 5 del decreto): il datore di lavoro può revocare il licenziamento entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione di impugnazione dello stesso e il rapporto di lavoro si considera ripristinato senza soluzione di continuità e senza alcun diritto alle indennità risarcitorie previste dalla legge;

7) tentativo di conciliazione (art. 6 del decreto): il datore di lavoro, entro il termine di impugnativa stragiudiziale del licenziamento, per evitare il giudizio può offrire al dipendente una somma risarcitoria, non rientrante nei redditi assoggettati a IRPEF e non soggetta a contribuzione previdenziale, equivalente ad una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, da corrispondere mediante assegno circolare; in ogni caso, non inferiore a 2 e non superiore a 18 mensilità. Il lavoratore che accetta l’assegno, rinuncia ad impugnare il licenziamento;

8) Computo della anzianità negli appalti (art. 7 decreto): l’anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze dell’impresa subentrante in un appalto, si computa tenendo conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell’attività appaltata;

9) Calcolo delle indennità per frazioni di anno (art. 8 del decreto): ai fini del calcolo delle indennità e dell’importo da corrispondere al lavoratore, gli anni di anzianità all’interno dell’azienda si contano considerando le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni equivalenti ad un intero mese;

10) Rito: abolito il Rito Fornero per i licenziamenti relativi agli assunti sotto la vigenza del decreto del Contratto a Tutele Crescenti.

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